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Ravenna città d’acque, e la storia si aggiorna

Ecco "Il genio delle acque" su scavi Hera e ritrovamenti domus

Pubblicato:07-05-2018 18:07
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:51

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RAVENNA – Ravenna, ultima capitale dell’impero romano d’occidente, non ha solo un rapporto speciale con la storia. Anche l’acqua ha un legame profondo con la città: Ravenna si affaccia sul mare Adriatico e ha un porto che arriva fin quasi in centro storico. Ma l’acqua scorre anche sotto di essa. Questa liaison è protagonista del volume “Il genio delle acque”, presentato questa mattina alla stampa e giovedì prossimo alla cittadinanza, che racconta gli importanti ritrovamenti, ora resi fruibili all’interno del museo Tamo, in occasione di due scavi in città effettuati da Hera per la realizzazione di due isole ecologiche interrate: nel 2009 in piazza Andrea Costa e nel 2011 in piazza Anita Garibaldi.

Durante il primo sono state trovate le tracce del passaggio di due fiumi, il Padenna e il Flumisellum, e un’epigrafe che cita una fonte d’acqua. Nel secondo i resti di una domus utilizzata dal II al VII secolo, poi ribattezzata domus del “Genio delle acque” in onore del mosaico che lo raffigura, che non solo permette di conoscere usi e costumi del tempo, dà anche ulteriore conferma del rapporto di Ravenna con l’acqua: un graffito fa infatti riferimento al suo trasporto tramite anfore.
Insomma, “Ravenna città d’acque”, spiega alla stampa il soprintendente Giorgio Cozzolino sottolineando l’importanza della collaborazioni tra i diversi soggetti coinvolti: la Soprintendenza e Hera, appunto, e poi il Comune di Ravenna e la fondazione Ravennantica. Il volume, aggiunge, non è solo un prodotto per studiosi, ma “un tassello importante per conoscere la storia di Ravenna antica”.


Il tutto grazie alla “archeologia preventiva“, che, al di là delle polemiche per i ritardi e l’aumento dei costi, è “una pratica di cui non si può fare a meno”. E la pubblicazione restituisce alla collettività in conoscenza quanto sostenuto per i maggiori costi, argomenta Cozzolino. Certo le cose vanno diversamente in Francia, aggiunge, dove esiste una società pubblica per l’architettura preventiva che trova così i finanziamenti per legge e un’impresa ha sempre la sicurezza di operare.

Il volume, gli fa eco il direttore di Ravennantica, Sergio Fioravanti, rappresenta “un momento felicissimo di collaborazione tra istituzioni. Mentre il museo Tamo arricchisce la sua proposta a turisti e ravennati. Gonfia il petto anche il presidente di Herambiente, Filippo Brandolini: l’Italia “per due terzi è in emergenza rifiuti e i cantieri per opere di pubblica utilità che incappano in ritrovamenti archeologici si bloccano”.






























A Ravenna le cose sono andate diversamente. Già durante gli scavi per le Reti gas era stato rinvenuto un dolio del 1500, un grande vaso in terracotta. A Cesena ancora si dibatte del recente ritrovamento di un mosaico durante gli scavi per la rete gas. Mentre a Forlì durante i lavori per il teleriscaldamento erano state ritrovate alcune sepolture romane.

“L’elemento comune di successo è che l’opera è stata portata a termine senza disperdere i patrimoni rinvenuti”. Fondamentale, prosegue Brandolini, la collaborazione tra enti, che in città ha già dato “altri risultati importanti”, come la domus dei tappeti di pietra. “Il nostro gruppo- conclude- è fortemente legato al territorio e poi gli archeologi lavorano un po’ nei rifiuti per cui ci sentiamo particolarmente vicini”.

In effetti, conferma Chiara Guarnieri che ha curato il volume assieme a Giovanna Montevecchi, “la spazzatura è fondamentale, ci racconta ciò che le fonti ufficiali non dicono”. E in questo caso cambia anche le conoscenze. Sotto piazza Anita Garibaldi si contava infatti di trovare le tracce della fossa augustea, una sorta di discarica, invece sono apparse quella di una domus “durata molti secoli, che aveva una funzione altra oltre quella residenziale” e al di sopra della quale è stato poi costruito un edificio di culto che prima non si conosceva. All’interno della domus, ora musealizzati, sono stati ritrovati suppellettili da cucina, lucerne, anfore per il vino in arrivo da Kos e Rodi, oggetti in vetro e per la persona, come gemme in agata, spilloni in osso per acconciature, specchi e spatole per unguenti, monete e oggetti da lavoro come l’ipposandalo che permetteva ai cavalli di affrontare il ghiaccio. Il tutto a conferma dei raffinati gusti dei proprietari.

Insomma, tira le fila Montevecchi, si tratta di un “caso di buona politica, l’operazione è stata gestita molto bene”. Anche perché, chiosa l’editore Alfio Longo, “non sempre si completa il ciclo dalla scoperta alla comunicazione. Con questi lavori si dà valore al nostro Paese per cui sono molto contento di essere stato un pezzo dell’ingranaggio”. E non può che essere soddisfatta anche l’Amministrazione comunale per un “esempio emblematico di pratica di cooperazione che Ravenna sperimenta da oltre 10 anni”, rimarca l’assessore alla Cultura, Elsa Signorino, dalla domus dei tappeti di pietra al museo di Classe. Ben venga l’aiuto del mondo delle imprese, come Hera, continua, dato che “in un territorio ricco di cultura si produce meglio”.

Più nello specifico lo studio non è solo per specialisti, “l’interesse che l’archeologia suscita a Ravenna è straordinario”. E quest’opera è “di grande interesse”. Gli scavi per le isole ecologiche hanno offerto “la prova provata di suggestioni e riflessioni già presenti”. A partire dalla fossa augustea e da “altri suoi percorsi”. Così giovedì la città potrà conoscere una “novità nella sua storia antica”, mentre entro la fine dell’anno sarà pronta al carta del potenziale archeologico.

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