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Myanmar, Suu-kyi: “Contro Rohingya non c’è pulizia etnica”

Questa l'uscita di Aung San Suu-Kyi, che in questi mesi aveva preferito non parlare troppo di questo argomento

Pubblicato:07-04-2017 11:21
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:05

aung san suu kyi
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ROMA – “Pulizia etnica è un termine troppo forte“. Questa la posizione della leader de facto del Myanmar, Aung San Suu-Kyi, su quanto sta avvenendo contro la minoranza dei Rohingya nel suo paese. In un’intervista esclusiva alla Bbc, ha spiegato il suo punto di vista su una questione di cui in questi mesi ha preferito non parlare troppo: “Non credo sia in atto una pulizia etnica. C’è molta ostilità, musulmani che uccidono altri musulmani, persone che appartengono a fazioni diverse, ma che noi stiamo cercando di riavvicinare”. E sui profughi fuggiti in Bangladesh, “se torneranno, saranno i benvenuti“. I Rohingya da decenni subiscono soprusi e discriminazioni. Il fatto di non ottenere la cittadinanza birmana – poiché ritenuti immigrati irregolari provenienti dal Bangladesh – fa sì che siano sprovvisti dei documenti, ed esposti a tante difficoltà quotidiane.

La proposta di concedere loro la cittadinanza è in discussione”, assicura la premio Nobel per la pace, che secondo la testata britannica sembra aver perso la sua aura di “icona internazionale dei diritti umani“, proprio a causa dei suoi silenzi sul tema. A ottobre, quando l’esercito ha condotto attacchi ripetuti nello stato del Rakhine, a maggioranza rohingya, Suu-Kyi espresse deboli parole di condanna. “La gente vuole che io condanni una comunità o l’altra”, ha spiegato, ricordando che anche nel 2013 – quando era ancora lontana la prospettiva di entrare da vincitrice col suo partito in parlamento – i giornalisti le avevano chiesto un commento sullo stesso tema. “L’esercito non è libero di stuprare, saccheggiare e torturare la gente”, ha detto, aggiungendo di non sapere per quale motivo abbia condotto l’attacco di ottobre. Tuttavia, uno degli obiettivi del suo governo resta quello di riottenere il controllo dell’esercito, che attualmente si muove come un organismo a se stante, detiene un quarto dei seggi in parlamento e occupa ministeri chiave. Infine, Aung fa il bilancio di questo primo anno di governo. I successi più importanti sono stati l’impulso all’occupazione grazie alla costruzione di strade e ponti; poi ha portato la corrente elettrica nelle zone rurali, ampliato i servizi sanitari e favorito le elezioni locali. I punti in agenda restano comunque molti. Primo tra tutti, la pacificazione del paese, scosso da anni di conflitti interetnici.

di Alessandra Fabbretti, giornalista


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