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Trivelle. Royalty, franchigie e piattaforme zombie, verso il 17 aprile

I no-triv puntano il dito contro le troppe agevolazioni, Assomineraria difende il settore su tutti i fronti

Pubblicato:07-04-2016 17:10
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:32

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ROMA – Royalty troppo basse pagate dalle compagnie petrolifere, estrazioni tenute volontariamente sotto le soglie della franchigia per non dover versare troppo, piattaforme ‘zombie’ lasciate ad arrugginire nei mari italiani per non pagare i costi di dismissione. E’ un quadro ancora più tetro e inquietante quello denunciato dal fronte no-Triv che si prepara al referendum abrogativo del 17 aprile sulle trivellazioni di idrocarburi entro le 12 miglia marittime. Dall’altro lato i petrolieri, preoccupati dal taglio della loro attività, che smentiscono le accuse e confermano la bontà di un settore importante per l’Italia, sia dal punto di vista economico che occupazionale.

L’indice delle associazioni ambientaliste è puntato sulle percentuali che i petrolieri versano ogni anno a Stato, Regioni e Comuni, ritenute troppo basse: 10% per l’estrazione di gas e olio a terra e 7% per olio in mare, mentre all’estero difficilmente si scende sotto il 30%. E lo stesso vale per le franchigie, ovvero quelle quote annue sulle quali non si pagano royalty. Secondo i no-Triv basta estrarre un quantitativo di gas e di petrolio pari o inferiore alle franchigie stabilite (20mila tonnellate di petrolio estratto a terra e 50mila in mare, 25 milioni di metri cubi di gas estratto a terra e 80 milioni in mare) e non si versano royalty allo Stato.


“Tutto quello che dicono governo e compagnie- spiega Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace- è smentito dai fatti: non è vero che le trivellazioni sono un perno essenziale del nostro sistema, tutto ciò è ridicolo. Le quantità di produzione sono infatti modestissime”. La ragione è forse da trovare nelle piattaforme ‘zombie’, “un ammasso di tubi vecchi, con pozzi che non estraggono più nulla da anni. Possiamo fare tranquillamente a meno di tutto questo”, prosegue il responsabile Greenpeace. I pozzi andrebbero infatti smantellati secondo legge, con costi a carico di ha sfruttato negli anni quella concessione. “Ed è qui che nasce il problema- aggiunge Boraschi- perchè smontare costa. Meglio dunque tenerle sotto franchigia, quindi senza royalty, che chiuderle del tutto”. Se dovesse vincere il ‘no’ al referendum, è lecito dire che “quelle piattaforme rimarranno ancora molti anni nei mari senza pagare royalty”. E allora, “forse ora tutti si stanno rendendo conto che estrarre petrolio in Italia conviene solo alle compagnie petrolifere- conferma Rossella Muroni, presidente di Legambiente- per loro, questa, è una condizione straordinaria. Siamo davvero preoccupati che questa pratica vada avanti all’infinito, con compagnie che estraggono sempre meno petrolio perché così è più conveniente, e vanno avanti in questo modo senza pagare i costi di dismissione previsti dalla legge”.

Dello stesso avviso Stefano Lenzi, responsabile relazioni istituzionali Wwf Italia. “L’Italia ha un regime di esenzione particolare- sottolinea- le aziende petrolifere pagano infatti la tassa sui redditi come qualsiasi altra azienda, al 27.5%, più una serie di incentivi su stoccaggi, giacimenti marginali e attività di ricerca. Venire ad estrarre il nostro petrolio, che tra l’altro è anche di scarsa qualità, conviene. L’Italia è un paradiso fiscale per i petrolieri, non vorrei che tutto questo sia stato creato per non voler pagare gli oneri di dismissione“. Di tutt’altro avviso Pietro Cavanna, presidente del settore idrocarburi e geotermia di Assomineraria, che difende il suo settore dalle accuse. “Le royalty sono una forma di tassazione superata- afferma- specialmente nei mari del Nord dove c’è una grande tradizione petrolifera. In alcuni Paesi sono state azzerate nel 2000, eppure l’Italia continua ad avercele. Di fatto, oggi, le royalty sono considerate un impedimento all’investimento”. Non bisogna dubitare nemmeno delle franchigie, secondo il dirigente di Assomineraria, “perché furono introdotte per permettere di estrarre anche nei numerosi piccoli giacimenti dei nostri mari, in cambio di una concessione. Questa fu la ragione dell’introduzione delle franchigie. Tutti coloro che hanno provato ad aumentare le royalty o eliminare le franchigie, alla fine, hanno fallito”. Quanto alle piattaforme ‘zombie’ nei mari italiani si può stare tranquilli, “non ce ne sono. Se vogliamo vedere degli zombie- conclude Cavanna- forse dobbiamo andare a casa di qualcun altro”.

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