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“La ‘Ndrangheta non ha confini e paga in contanti, ma oggi sono accerchiati”

Cafiero De Raho, procuratore della Repubblica a Reggio Calabria, spiega le ragioni del "successo" della più radicata e potente organizzazione criminale

Pubblicato:06-10-2017 08:36
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:45

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ROMA – “La ‘ndrangheta è in grado di garantire disciplina, ma consente anche che cosche appartenenti all’una o all’altra parte della Calabria possano compartecipare negli affari”. Lo dice in un’intervista al Sir Federico Cafiero De Raho, procuratore della Repubblica a Reggio Calabria, in cui spiega il fenomeno e le ragioni del “successo” della più radicata e potente organizzazione criminale italiana.

“In Calabria e nella provincia di Reggio- ricorda De Raho- c’è la testa, ma esistono articolazioni locali – autonome nell’operatività ma non nei collegamenti – al nord”. I mafiosi, infatti, “hanno una grande capacità di stringere rapporti, di concludere affari, soprattutto perché intervengono con tanto danaro. Basta pensare al fatto che la ‘ndrangheta è riuscita a creare basi locali anche in vari Paesi europei: Svizzera, Irlanda e Germania”.


Dunque, “la loro forza sta nel fatto che riescono a pagare tutto in contanti e in anticipo”.

La ‘ndrangheta, prosegue De Raho, è “l’organizzazione malavitosa più ‘credibile’ e proprio per questo riesce a entrare in simbiosi e sinergia con le altre organizzazioni mafiose e con i produttori di cocaina”. La ‘ndrangheta, poi, è capace di drogare l’economia e il mercato del lavoro perché “toglie lavoro ad altri, alle imprese corrette che però hanno difficoltà a lavorare. Soprattutto in periodi di crisi, è evidente che chi riesce ad avere soldi e a farli entrare in modo occulto nella propria impresa ha un’agevolazione poi nell’ottenimento dei risultati che gli consente di competere con altre società”.

Nella lotta per la legalità è importante anche il ruolo della Chiesa: “Il rispetto della dignità umana è un valore sia per la Chiesa sia per lo Stato. In questo momento è come se ci fosse un’azione concentrica, come se il corrotto e l’uomo di ‘ndrangheta fossero accerchiati da una cultura nuova, una cultura della legalità che non è soltanto l’applicazione della legge. I sacerdoti che oggi parlano pubblicamente contro la corruzione e contro la ‘ndrangheta danno un segnale univoco e riescono a far comprendere che è passato il tempo in cui si poteva pensare di essere contemporaneamente cristiani e ‘ndranghetisti”.

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