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Studio Partner: “I pazienti sieropositivi in terapia antiretrovirale non trasmettono il virus”

Il tema è oggetto dell’11° edizione del Congresso ICAR, Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, in corso a Milano fino al 7 giugno

Pubblicato:06-06-2019 11:37
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:22
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MILANO – Le nuove terapie per contrastare l’AIDS stanno mutando drasticamente le caratteristiche del contagio. Chi fa un uso corretto e regolare delle cure antiretrovirali necessarie, infatti, ha un rischio di trasmettere l’infezione da HIV pari a zero. Ciò non implica che si possa abbassare la guardia, anche perché queste terapie non proteggono da altre malattie sessualmente trasmissibili; tuttavia diventa possibile superare lo stigma e affrontare con paradigmi nuovi il tema della prevenzione dell’infezione e dello stop dell’epidemia.

Con la formula U=U, Undetectable=Untransmittable, ossia Non rilevabile=Non trasmissibile, si vuole sintetizzare un’importante evidenza scientifica frutto di una ricerca da poco pubblicata su Lancet, lo studio Partner, durato 8 anni, che vede tra gli autori Andrea Antinori. “Questo studio ha dimostrato che su un totale di oltre 76mila rapporti senza preservativo tra coppie omosessuali siero-discordanti, ossia con un partner HIV positivo ma con viremia non rilevabile perché controllata da farmaci antiretrovirali e con un partner sieronegativo, la trasmissione dell’infezione è risultata pari a zero, pur senza assumere PrEP” ha spiegato il prof. Antinori.


Il tema è oggetto dell’11° edizione del Congresso ICAR, Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, il punto di riferimento per la comunità scientifica nazionale in tema di HIV-AIDS, Epatiti, Infezioni Sessualmente Trasmissibili e virali, in corso a Milano dal 5 al 7 giugno.

Lo studio Partner peraltro non è l’unica ricerca che dimostra questo concetto: “Possiamo pertanto affermare che chi è HIV positivo, ma prende regolarmente la terapia e ha una viremia stabilmente soppressa può avere rapporti sessuali non protetti, sia eterosessuali che omosessuali, con partner sieronegativo, senza avere alcun rischio di infettarlo. Questa notizia è direi rivoluzionaria perché le persone sieropositive in cura non sono più fonte di contagio  e possono affrontare più serenamente la comunicazione della loro sieropositività con il proprio partner sessuale” aggiunge la professoressa Antonella D’Arminio Monforte, uno dei quattro Presidenti del Congresso di Milano ICAR 2019.

Il congresso ICAR sarà il primo congresso nazionale a trattare il tema U=U, con una tavola rotonda che si terrà venerdì 7 giugno, a cui prenderanno parte clinici, community, pazienti, per coinvolgere tutti gli attori in campo.

U=U LA NOVITA’, MA IL SOMMERSO RESTA IL VERO PROBLEMA

Il tema U=U costituisce una novità rilevante tanto sotto il profilo epidemiologico quanto sotto quello sociale, poiché stravolge l’impostazione di molte campagne di sensibilizzazione e prevenzione. In termini di sanità pubblica è la dimostrazione più evidente che la TasP (Treatment as Prevention) funziona e che l’estensione della terapia a tutte le persone con HIV è uno strumento ottimale nel controllo dell’epidemia. Non solo: dato che “non rilevabile è non trasmissibile”, la paura, lo stigma, le discriminazioni, l’emarginazione possono essere finalmente archiviati come cose del passato. Nonostante la portata rivoluzionaria di questo studio, le precauzioni, prima tra tutte l’uso del profilattico rimangono uno strumento imprescindibile per  ridurre il rischio di trasmissione di HIV e di altre malattie sessualmente trasmissibili con un partner che non si conosce.

IL PERICOLO SONO I SOGGETTI HIV POSITIVI INCONSAPEVOLI

Il vero problema dunque non sono i soggetti con infezione da HIV in terapia (oltre 100mila in Italia), bensì il cosiddetto “sommerso”, ossia coloro che sono infetti dal virus ma non ne sono consapevoli. Un numero di soggetti che nel nostro paese si stima che ammonti a circa 15mila persone: costoro, oltre a essere un problema per se stessi, in quanto non diagnosticati e non in trattamento progrediscono verso la malattia, e sono un problema per la società, in quanto potenziale fonte inconsapevole di trasmissione.

MILANO FAST TRACK CITY ENTRO IL 2030, MA LE INFEZIONI OGGI RESTANO COSTANTI

Il 1° dicembre 2018 il Sindaco di Milano Giuseppe Sala ha firmato la ‘Paris Declaration’, con cui la municipalità di Milano, prima città in Italia, si è impegnata a ridurre al massimo, fino a zero,  i nuovi casi di infezione da HIV nel 2030, puntando a diventare una Fast Track City. Ciò vuol dire intraprendere un’azione decisa, in quanto negli ultimi anni le nuove diagnosi di infezione da HIV sono rimaste costanti.

Nel 2018, sono state 430 le nuove diagnosi di infezione da HIV nella sola città di Milano, più di una nuova diagnosi al giorno. I nuovi soggetti affetti da HIV sono per l’88% maschi, 42% non italiani, il 66% dei maschi ha acquisito l’infezione per rapporti con maschi. Inoltre, diverse diagnosi arrivano dopo molto tempo che il soggetto ha contratto il virus, tanto che in circa nel  10% dei casi l’HIV è già progredito in AIDS. Inoltre, sempre nel 2018 sempre nella città di Milano sono state segnalate 446 diagnosi di sifilide, 409 di gonorrea e 220 di clamidia, tutte patologie che sicuramente sono più diffuse e la cui diagnosi non viene sempre riportata.

LOMBARDIA CAPOFILA CON I CHECK POINT

Particolarmente importanti risultano quindi le azioni che il Comune vorrà intraprendere per ridurre i casi di nuove infezioni specie nelle popolazioni a rischio: uomini che fanno sesso con uomini, migranti, detenuti, homeless. In questo contesto si inserisce anche la recente apertura del check point milanese lo scorso 4 febbraio, frutto della collaborazione di tutte le associazioni che operano a Milano (Anlaids, ASA, CIC-Arcygay Lila, NPS Italia, ) che ha lo scopo di fornire gratuitamente screening per HIV e malattie sessualmente trasmesse (HCV, sifilide. Gonorrea, clamidia) e counselling per la PrEP. Pochi mesi dopo Milano, si è aggiunta Bergamo, rendendo la Lombardia capofila in questa sfida.

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