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Lo studio della Nasa sui gemelli per i viaggi spaziali del futuro

Due anni alle ricerche su una coppia da record: i gemelli Mark e Scott Kelly, unici due gemelli nella Storia ad essere entrambi astronauti. Ecco cosa hanno scoperto

Pubblicato:05-02-2018 18:33
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:26

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ROMA – I viaggi nello Spazio porteranno astronauti e astronaute sempre più lontano. La priorità è, naturalmente, farlo in sicurezza e per questo le agenzie spaziali portano avanti test e simulazioni per tenere sotto controllo e predire cosa succederebbe al corpo umano nel caso di una missione molto lunga, come, per esempio, quella di un viaggio su Marte. La Nasa ha dedicato due anni alle ricerche su una coppia da record: i gemelli Mark e Scott Kelly, unici due gemelli nella Storia ad essere entrambi astronauti. Selezionati dalla Nasa nel 1996, hanno all’attivo rispettivamente quattro e undici missioni nello Spazio. Scott Kelly è l’astronauta a stelle e strisce con il maggior numero di giorni di permanenza oltre atmosfera: sono stati 382, primato ottenuto nell’ottobre 2015.



Ecco che cos’ha fatto la Nasa: durante l’anno di permanenza di Scott sulla Stazione spaziale internazionale, ha tenuto sulla Terra il gemello Mark come ‘soggetto di controllo’. Poi, ha comparato i dati del controllo sia fisico che psicologico dei due, tanto durante la missione sulla Stazione che dopo il rientro sulla Terra. Sono stati ora resi noti i primi risultati, mentre la pubblicazione di uno studio completo è atteso per la fine del 2018.

I ricercatori hanno innanzitutto evidenziato come, analizzando metaboliti, citochine e proteine, sia emersa un’associazione tra missioni nello Spazio e stress da privazione di ossigeno, aumento infiammatorio e modifica dei geni. Nulla che non fosse già noto. Al ritorno sulla Terra, il corpo di Scott ha cominciato a riadattarsi alla ‘vecchia’ vita , con processi che sono durati da poche ore a sei mesi dopo l’atterraggio.


Una delle scoperte della Nasa riguarda i telomeri, cioè le parti terminali di un cromosoma che hanno il compito di difenderlo dal deterioramento e che, di solito, si accorciano con l’invecchiamento. E’ stato riscontrato che nello Spazio si allungano, e tornano a dimensioni più contenute a due giorni dal rientro sulla Terra dell’astronauta.

Un’altra scoperta è legata al cosiddetto ‘gene dello Spazio’: i ricercatori adesso sanno che il 93% dei geni di Scott Kelly sono tornati come erano prima del viaggio. Il restante 7%, invece, può far pensare a possibili cambiamenti di lungo corso per quanto riguarda sistema immunitario, riparazione del Dna, formazione ossea, ipossia e ipercapnia, cioè l’aumento nel sangue della concentrazione di anidride carbonica.

Ricordiamo che andare nello Spazio significa incontrare problemi legati alla perdita di massa muscolare e massa ossea: dopo un periodo in orbita gli astronauti sono soggetti a sarcopenia e osteoporosi, condizioni solitamente tipiche delle persone anziane. E i danni per l’astronauta rischiano di essere permanenti, a meno che non si intervenga con dei piani di riabilitazione efficaci, come effettivamente avviene dopo il rientro a Terra. Per quanto riguarda le modifiche del Dna dopo l’esposizione alle radiazioni, anche queste sono note. Quello che serve capire è dopo quanto tempo di esposizione si registrino danni permanenti, e in quest’ottica è importante lo studio della Nasa sui gemelli.

Si tratta della prima applicazione di genomica per valutare i rischi potenziali per il corpo umano nello Spazio. Ma la strada per Marte è ancora molto lunga.

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