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Franca Leosini e Storie maledette, il Male raccontato sui tacchi

C’è il sapiente tocco di chi sa sedersi a tavolino con il male. Introspezione dell’indagine, disamina dei fatti e caparbietà filosofica a studiarne le forme

Pubblicato:05-02-2016 10:28
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:54
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leosini

ROMA – Le Storie Maledette di Franca Leosini sono diventate un caso televisivo e social. La scelta, coraggiosa e controversa, di portare al pubblico della prima serata casi di cronaca nera ha premiato in termini di share (1.459.000 spettatori pari ad uno share del 5.32% per citare la puntata del 21 gennaio) e di clamore. Ormai quando la Tv, specie quella di Stato, suscita dibattito, movimento d’opinione e spirito critico si rimane un po’ sorpresi. Questo accade perché alla guida dell’intervista, composta, sobria e con una maestria linguistica di difficile paragone, c’è Franca Leosini che questo programma l’ha ideato nel 1994. Non siamo al cospetto di trasmissioni come “Quarto Grado” o altre patinate della domenica dove la cronaca nera viene spettacolarizzata e raccontata alla maniera dei forcaioli di piazza o della compassione da soap opera. Tutt’ altro spartito.

Un paragone possibile è con “Chi l’ha visto?” che da anni su Rai 3 svolge un servizio giornalistico di concreto aiuto alle famiglie degli scomparsi, nelle pieghe dei gialli piu foschi della storia italiana, e spesso alle stesse indagini di ricerca. Ma c’è un tocco diverso nelle interviste dietro le sbarre di Franca Leosini. Lo abbiamo visto con Rudy Guede, con la mantide di Scaccia, con lo sfiguratore di Lucia Annibali. C’è il sapiente tocco di chi sa sedersi a tavolino con il male. L’introspezione dell’indagine, la disamina dei fatti ma anche una qualche caparbietà filosofica a studiare le forme del male, le sue linfe e l’ombra che lascia sulla mente di chi si è macchiato di omicidi e violenze. Senza la ricerca populista della competizione tra colpevolisti e innocentisti, senza morbosità, ma con il garbo di uno studio attento, meticoloso, di una ricostruzione puntuale che non trascura la voce di chi vive la detenzione.


C’è chi ha provato ad impedire la messa in onda della puntata sul caso di Lucia Annibali e del suo assassino morale: Luca Varani. Addirittura con un’interrogazione parlamentare al Ministro Orlando da parte di Laura Ricciatti (Sinistra Italiana) che ha sollevato una questione di “opportunita’” per un imputato che non ha mai parlato nelle sedi deputate e il cui processo è ancora pendente in Cassazione. La polemica si è chiusa su un’autorizzazione inequivocabile da parte del DAP. Tutto regolare quindi con assenso della stessa vittima,  una testimone coraggiosa del martirio subito.

Il nutrito popolo dei fan della giornalista Leosini avrebbe voluto altre puntate. I social parlano chiaro tra detrattori e tifosi. E per quanto forti i contenuti avrebbero fatto bene anche a chi non ama la trasmissione. Intanto perché un popolo educato a conoscere il male è sempre più attrezzato a riconoscerlo anche nelle sue manifestazioni banali, a rifletterci su, a interrogarsi e poi perché la storia di un condannato costringe la nostra cultura civica ad entrare in queste cittadelle oscure degli istituti di pena. Stati nello Stato. A volte virtuosi e in grado di restituire vite umana alla loro dignità. A volte infernali e non degni di un paese democratico vero.

Fa bene, specialmente ad un popolo così di piazza come quello italiano questo genere di prove di cultura e di riflessione critica. Per chi è a rischio di emulazioni o innamoramenti del male, cosi come non si vietano le poesie di Lovercraft o i testi di Poe nelle scuole, o le fiction più spietate di killer sanguinari e poliziotti eroi, non si vieterà nemmeno una trasmissione d’ d’inchiesta in piena regola come “Storie maledette”, condotta da una professionista, vestitissima e sobria, che con grazia educa il suo pubblico a sapere e a capire il peggior lato dell’umanità e magari a volte la tortuosità di una giustizia “procedurale imperfetta” alla Rawls. E’ proprio questo dubbio sulla verità il riscatto delle Storie Maledette di Franca Leosini. Che vorremmo vedere ancora, insieme a trasmissioni di cultura, di genere, di multiculturalismo, di opera e teatro, perché no?

di Silvia Mari, giornalista

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