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Mohamed Keita, il fotografo con i ragazzi di strada

Dalla Costa d'Avorio all'Italia, apre scuole da Bamako a Nairobi

Pubblicato:04-12-2018 16:21
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:51

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ROMA – “Se impari qualcosa poi devi saperla condividere” sorride Mohamed Keita, 25 anni, prima migrante e rifugiato, ora fotografo e cooperante. Risponde all’agenzia ‘Dire’ che gli chiede come siano nati i suoi ultimi progetti. Non solo mostre, come ‘Scatti liberi’, appena conclusa all’Auditorium di Roma, o quella in corso al Centro Pecci di Prato. Perche’ progetti, per Mohamed, statura minuta, lo sguardo che si fa pensieroso, vuol dire anzitutto “restituzione”.

Dal suo Paese, la Costa d’Avorio, era fuggito nel 2007, dopo le incursioni dei ribelli, i bombardamenti e la perdita dei genitori, entrambi inghiottiti dalla guerra civile. Il viaggio non era stato ne’ agevole, ne’ breve. Prima il Mali, il Sahara, la Libia. Poi lo sbarco a Malta, la detenzione e infine la Sicilia e Roma, con l’approdo al centro diurno per minori Civico Zero. “E’ qui che ho conosciuto i miei maestri e ho imparato a tenere in mano la macchina” racconta Mohamed dei corsi di fotografia.









Sono state quelle ore di lezione, con gli incontri, le passeggiate nel quartiere di San Lorenzo e le inquadrature, a far sbocciare improvviso il talento. C’e’ stato il successo internazionale, con esposizioni a Londra e a New York, ma Mohamed ha continuato a riflettere su se stesso, fino a sentire forte il desiderio di condividere. “Lo scorso anno ho fondato una scuola di fotografia alla periferia di Bamako” racconta alla ‘Dire’: “Si chiama ‘Kene’, che in lingua bambara vuol dire ‘spazio’ e suggerisce l’incontro; con i miei collaboratori, esperti anche di editing, studiano nove studenti di eta’ compresa tra i dieci e i 18 anni”. Alcuni di loro hanno esposto all’Auditorium, in occasione di ‘Scatti liberi’ – sottotitolo ‘L’Africa negli occhi dei bambini’ – una mostra realizzata interamente da ragazzi.

L’impegno e’ offrire un’alternativa a chi rischia di lasciare la scuola e perdere se stesso, vittima della colla da sniffare o della criminalita’. “I risultati sono stati incoraggianti e il prossimo anno i ragazzi potrebbero diventare 20 o anche piu'” annuncia il fotografo. Che e’ gia’ pronto a rilanciare: “A marzo apriremo una scuola dello stesso tipo anche a Nairobi, mettendola a disposizione di ragazzi bisognosi di aiuto, che un domani documenteranno magari i problemi e la vita del loro Paese”. Secondo Mohamed, in Africa oggi manca una rete articolata di fotoreporter che indaghino realta’ e dinamiche sociali. “Con i corsi, il materiale e le macchine, forniamo gli strumenti per raccontare anzitutto se stessi” dice il fondatore di ‘Kene’. “Sogno un racconto reale, sul campo, in strada, che chi arriva dall’estero per pochi giorni non riuscira’ mai a fare”.

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