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Libia, prima donne e bambini: ecco il piano ‘salva-rifugiati’ dell’Onu

'La situazione in Libia è troppo pericolosa per i rifugiati. Per questo abbiamo varato un piano immediato di evacuazione dando priorità ai più vulnerabili'

Pubblicato:04-12-2017 16:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:57

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ROMA – “La situazione in Libia è troppo pericolosa per i rifugiati, e non si risolverà in tempi brevi. Per questo abbiamo varato un piano immediato di evacuazione dando priorità ai più vulnerabili: entro il 2018 puntiamo a reinsediare nei Paesi europei e dell’America del Nord tra le 5mila e le 10mila persone, nel pieno rispetto dei diritti umani. Questo prevede l’apertura del primo centro di transito e partenze dell’Unhcr situato a Tripoli e con una capienza di mille persone”. Roberto Mignone, responsabile dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) in Libia, parla con l’agenzia DIRE all’indomani dell’accordo raggiunto tra Onu e le autorità libiche sulla gestione di migranti economici e rifugiati.

Dei primi si occupa l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) attraverso i rimpatri – 13mila circa quelli già effettuati – mentre i secondi sono di competenza dell’Unhcr.

Chi sono i rifugiati? “Coloro che provengono da Paesi in cui guerra, conflitti o persecuzioni mettono la loro vita seriamente in pericolo” risponde Mignone. “Siria, Iraq, Palestina, Sudan ed Etiopia, e – in Libia – Eritrea e Somalia in testa, ma stiamo negoziando per garantire lo status di rifugiato anche a chi viene da Yemen, Afghanistan e Sud Sudan, ed altri Paesi“.


Per le organizzazioni umanitarie non è semplice stabilire quanti migranti ci siano oggi nel Paese nordafricano: forse addirittura 500mila. Molti sono in mano alle bande criminali, mentre le autorità libiche ne accolgono circa 17mila nei centri ufficiali, in condizione di detenzione. “Erano 6mila solo fino a due mesi fa”, osserva il direttore Unhcr.

Tali strutture, una trentina circa, sono quindi sovraffollate e non adatte a ospitare persone. E’ necessario, sottolinea Mignone, portarle via. Negli ultimi 12 mesi il personale Unhcr le ha visitate 963 volte per distribuire prodotti non alimentari, cure e fare campagne di igiene. Ma soprattutto – chiarisce il responsabile – “abbiamo potuto identificare coloro che rientrano nella categoria di rifugiati. Negli ultimi mesi abbiamo fatto liberare più di 950 persone con necessità di protezione internazionale”.

Cosa cambia col nuovo piano dell’Onu? “Il personale Unhcr potrà identificare alcuni dei rifugiati vulnerabili direttamente nei 12 punti di sbarco ufficiali sulla costa, evitando loro il soggiorno nei centri di detenzione libici. La priorità – spiega Mignone – sarà data ai gruppi vulnerabili: donne sole, minori non accompagnati, famiglie, anziani, malati, persone traumatizzate da violenze, stupri, torture”.

A tal fine, “nelle ultime settimane abbiamo già realizzato un progetto pilota inviando in Niger un piccolo gruppo di 25 persone, con buoni risultati”. Perché il Niger? “Una volta ottenuto lo status di rifugiato dall’Unhcr, la persona deve fare un colloquio con l’ambasciata del Paese di destinazione, e in Libia, a causa della guerra, le sedi diplomatiche sono state tutte chiuse. Anche l’Unhcr, e tutte le agenzie dell’Onu, dal 2014 hanno spostato il personale internazionale a Tunisi. Solo l’Italia qualche mese fa ha riaperto la propria sede diplomatica. In Niger le ambasciate invece ci sono. E’ un modo per velocizzare le procedure”.

Quanto al centro di Tripoli, “sarà operativo da febbraio, il tempo di ristrutturarlo. Potrà accogliere in modo temporaneo mille persone, avrà una clinica e gli uffici per le procedure burocratiche, e sarà attivo 24 ore su 24, sette giorni su sette. Forniremo anche corsi sui diritti umani e la protezione internazionale al personale locale. Nei prossimi mesi apriremo poi altri tre centri sulla costa che forniranno ai rifugiati vari tipi di servizi”.

Altro obiettivo faticosamente raggiunto con le autorità libiche, sottolinea Mignone, “è il compromesso sulla libertà di movimento delle persone. Nei mesi scorsi abbiamo anche portato in visita i rappresentanti di Tripoli a Milano per mostrare i centri di accoglienza italiani, per far capire loro che non è pericoloso consentire ai profughi di uscire durante il giorno. A Tripoli potranno farlo, a patto di ricevere un’autorizzazione speciale da parte del Dipartimento libico contro l’immigrazione illegale”.

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