NEWS:

Nello Spazio con Nespoli, ecco gli esperimenti di Vita/ MyoGravity

MyoGravity fa parte della cosiddetta Biomission dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) ed è supervisionato dall'Università di Chieti

Pubblicato:04-07-2017 16:20
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:29

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

Medicina e tecnologia, biologia e fisica. Sono 13 gli esperimenti di matrice italiana di cui si occuperà l’astronauta Paolo Nespoli durante la missione Vita sulla Stazione Spaziale Internazionale.

I loro risultati contribuiranno alle cure per numerose patologie, aumenteranno la nostra conoscenza dello Spazio e saranno utili a preparare le missioni di lunga durata del futuro, a partire da quella dell’Uomo su Marte.

L’Agenzia DIRE li racconterà, uno per uno, con interviste ai responsabili e visite ai laboratori in cui sono nati.


L’esperimento di cui ci occupiamo questa settimana è MyoGravity


Fa parte della Biomission dell’Agenzia spaziale italiana, cioè di un gruppo di quattro esperimenti concentrati sul corpo dell’astronauta.

MyoGravity, in particolare, si occuperà di capire i meccanismi che inficiano la rigenerazione cellulare nel tessuto muscolare degli astronauti durante la permanenza per lunghi periodi nello Spazio.

Prevede due biopsie per Paolo Nespoli, pre e post volo, e l’invio nello Spazio di cellule di soggetti volontari, maschi e coetanei di Nespoli, in ottima salute, che partecipano all’esperimento rimanendo a Terra. Ci spiega tutto la professoressa Stefania Fulle dell’Università di Chieti, responsabile di MyoGravity.

“Quest’esperimento riguarda la coltura di cellule staminali adulte del muscolo, che servono per la sua rigenerazione e il suo mantenimento durante tutta la nostra vita adulta. Ci occupiamo di questo ambito ormai da anni- spiega Fulle-. Nello specifico, quest’esperimento vuole andare a comprendere quali sono i meccanismi che inficiano la rigenerazione nel tessuto muscolare degli astronauti durante la loro permanenza per lunghi periodi nello Spazio, quindi sottoposti a microgravità. La microgravità determina atrofia muscolare e quindi è importante comprendere perché queste cellule che normalmente dovrebbero mantenerci i muscoli in uno stato trofico non sono in grado di rispondere e di svolgere il loro ruolo in maniera efficace. Per questo progetto isoliamo cellule staminali da una biopsia muscolare che abbiamo effettuato su Paolo Nespoli, circa un mese fa a Colonia. Abbiamo condiviso biopsia con altri PI (Principal investigator,  i responsabili, ndr) di progetti di Esa per limitare numero biopsie”.

“Abbiamo invece soggetti di controllo che reclutiamo presso la nostra università, a Chieti. Sono soggetti volontari di pari età. Queste cellule isolate noi le coltiviamo sia a Terra in condizioni normali che in condizioni di una microgravità simulata utilizzando un’apparecchiatura che mima la microgravità. Queste cellule le manderemo anche nello Spazio per vedere quali sono gli effetti della microgravità reale. Quello che succede nello Spazio è quello che riusciamo a riprodurre sulla Terra o c’è qualche cosa di diverso? Il modello strumentale che usiamo sulla Terra è valido? E’ questa la domanda a cui vogliamo rispondere”.

“Tra l’altro faremo una biopsia a Paolo Nespoli anche dopo il volo, per vedere quello che è successo alle sue cellule staminali rimaste all’interno del muscolo, che hanno subito gli effetti della microgravità nei sei mesi di permanenza nello Spazio. E quindi comprendere se il modello in vitro ci permette di avere informazioni che sono vicine a quello che sulla Stazione”.

Cosa farà Paolo Nespoli nello Spazio?

“Per noi nulla. L’intervento, che potrebbe essere di Paolo Nespoli, ma anche di uno degli altri astronauti sulla Stazione spaziale internazionale, sarà di prendere gli hardware che arriveranno con la navicella SpaceX 12 e inserirli in questa sorta di incubatore che è presente sulla Stazione spaziale internazionale, il KubiK. Al termine del periodo di esperimenti, togliere questi hardware e metterli all’interno di un congelatore – un frigorifero a -80 gradi-, dove saranno mantenuti fino a che non saranno rimandati a Terra”.

Al progetto MyoGravity collaborano sinergicamente quattro atenei. Oltre al gruppo dell’Università di Chieti, ce ne sono uno dell’Università dell’Aquila, un gruppo dell’università di Perugia e un gruppo dell’Università Sapienza di Roma. Partecipa anche Kayser Italia, azienda di Livorno che supporta le università dal punto di vista tecnologico nella realizzazione degli hardware.

Come è stato scelto il nome dell’esperimento?

“Pensando ad un acronimo che mettesse insieme myo, muscolo- dall’inglese, ma anche dal latino e dal greco-, e gravity, per l’effetto della gravità, in questo caso dell’assenza di gravità, o comunque una microgravità, che ha sul muscolo”.

Quali saranno gli effetti dei risultati di MyoGravity? Saranno utili anche per migliorare le condizioni della vita di noi terrestri?

“Sì. L’atrofia a cui va incontro l’astronauta è molto più accelerata rispetto a quella che possiamo avere noi sulla Terra. Ci rappresenta un modello molto pratico di atrofia muscolare. Siccome è un problema abbastanza grosso per la popolazione che vive sulla Terra- vanno incontro ad atrofia soggetti anziani, alcuni pazienti per patologie specifiche, ma anche lo stesso disuso o un allettamento prolungato può portare ad atrofia muscolare- comprendere quali meccanismi possono stare dietro ad un’atrofia muccolare possono chiaramente darci indicazioni e una ricaduta per gli interventi, per delle contromisure”.

Quali sono i tempi per i primi risultati dell’esperimento?

“Dovremo attendere il rientro di Paolo Nespoli, per fargli la seconda biopsia. Arriveremo poi alla fine del progetto all’inizio del 2019. Alcuni dato riusciremo ad averli prima, nell’arco del prossimo anno”.

di Antonella Salini, giornalista professionista

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it