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VIDEO | Cancro e fertilità, la crioconservazione del tessuto ovarico

ROMA -  La seconda causa di morte per le donne in Italia oggi è rappresentata dal tumore. Il più diffuso

Pubblicato:04-02-2019 11:21
Ultimo aggiornamento:04-02-2019 11:21

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ROMA –  La seconda causa di morte per le donne in Italia oggi è rappresentata dal tumore. Il più diffuso – secondo le stime di Aiom – è quello della mammella tanto che nel 2018 sono stimati 52.800 nuovi casi (erano 51.000 nel 2017). Seguono il cancro del colon-retto e poi quello del polmone. Numeri che mettono in allarme e devono spingere quante più persone possibili a sottoporsi a screening. In occasione della Giornata Mondiale contro il cancro è importante parlare anche di tumori e preservazione della fertilità, soprattutto delle giovanissime.

Le nuove terapie oggi consentono a sempre più pazienti di vincere la malattia ma per poter vedere esaudito il desiderio di maternità è necessario, prima delle cure, di crioconservare il tessuto ovarico. In cosa consiste questa operazione e dove viene conservato questo prezioso materiale? A rispondere all’agenzia di stampa Dire è stato il professor Enrico Vizza, direttore dell’Uoc di Ginecologia Oncologica e direttore della Banca del tessuto ovarico dell’ospedale Regina Elena di Roma.


– La banca del tessuto ovarico è un riferimento per la regione Lazio. Di che cosa si tratta e a che cosa serve?

“La banca del tessuto ovarico è l’unica banca della regione Lazio ed è finalizzata alla conservazione del tessuto ovarico prima che le pazienti più giovani vengano sottoposte a chemioterapia o interventi destruenti che possono determinare la privazione della fertilità. Il termine ’Banca del tessuto ovarico’ restituisce l’idea di un posto dove si conservano le cose di valore. Questo è vero perché all’interno del laboratorio viene conservata la fertilità delle giovani donne che vengono a sottoporsi ai trattamenti oncologici. E’ importante mettere in luce però il percorso clinico che si sviluppa all’interno di tale banca. All’interno dell’ambulatorio effettuiamo una selezione e successiva preparazione delle pazienti finalizzata all’espianto dell’ovaio e poi alla congelazione”.

– Come avviene tecnicamente l’espianto del tessuto ovarico e poi l’impianto?

“L’espianto del tessuto ovarico avviene tramite la rimozione della parte superficiale dell’ovaio, la cosiddetta corticale dell’ovaio perché la riserva degli ovociti, conosciuti anche come follicoli primari e primordiali, sono localizzati nella parte esterna o meglio nella corteccia dell’ovaio mentre durante la fase di sviluppo dei follicoli questi si spostano durante la maturazione all’interno dell’ovaio stesso. Per cui il chirurgo asporta solo la porzione esterna dell’ovaio lasciando la midollare ovvero la parte interna. Quindi in pratica si decortica l’ovaio per poi preparare tanti piccoli frammenti che vengono, una volta puliti, congelati e conservati in dei contenitori in azoto liquido a 190 gradi centigradi sotto lo zero. Il trapianto viene preceduto da una fase molto delicata di scongelamento lento di questi frammenti e poi, sempre attraverso un intervento chirurgico laparoscopico, si creano delle piccole tasche come delle sorte di tunnel all’interno del residuo ovarico che è rimasto al paziente e vengono così introdotti i frammenti scongelati all’interno dell’ovaio che una volta conteneva la corticale che abbiamo, anni prima, prelevato. In realtà si tratta di un doppio intervento effettuato per via endoscopica, ovvero l’espianto prima e poi il trapianto che avvengono anche a distanza di molti anni quando ormai la paziente ha terminato i trattamenti ed è completamente guarito”.

– Esiste un limite massimo di tempo entro cui deve esserci l’impianto del tessuto? Quanti anni possono trascorrere?

“Il congelamento può anche durare 20 o 30 anni. Infatti c’è evidenza in letteratura che la qualità del tessuto, una volta congelato a meno 190 gradi, si mantiene per decenni intatto. Il limite temporale è quello dell’età della paziente, in quanto con le tecniche odierne noi possiamo espiantare il tessuto ovarico a donne al di sotto dei 37-38 anni, in quanto farlo per età maggiori, ci esporrebbe al fallimento perché la riserva ovarica di queste donne è molto bassa. Quindi dal punto di vista di conservazione del tessuto non c’è limite anche fino a 20, 30, 40 anni mentre il limite è rappresentato dall’età della donna al massimo deve avere un’età tra i 38-39 anni”.

– Quindi una giovane paziente che si rivolge al Regina Elena viene incoraggiata a preservare la propria fertilità?

“Assolutamente sì, tutte le pazienti giovani che si rivolgono al nostro ospedale prima di sottoporsi a chemioterapia, radioterapia o comunque trattamento chirurgico fanno una consulenza presso il nostro ambulatorio attivo tutti i giorni e se eleggibili alla conservazione del tessuto ovarico la paziente viene preparata per questo tipo di espianto. L’intera procedura porta via 3-5 giorni al massimo tra la valutazione e l’intervento stesso”.

– Una donna colpita da neoplasia non solo deve affrontare un percorso terapeutico ma spesso deve confrontarsi con la paura di non veder esaudito il proprio desiderio di maternità. Come vengono supportate le pazienti anche psicologicamente?

“Il nostro team è multidisciplinare e prevede che sia presente una psico-oncologa in tutte le fasi più importanti, perché preparata a gestire queste situazioni. La ragione è semplice, una paziente che subisce una diagnosi oncologica con delle aspettative di vita alcune volte abbastanza limitate deve molto rapidamente accettare la diagnosi e confrontarsi anche con la gestione del proprio futuro. Per questa ragione è determinante la presenza di uno psico-oncologo che aiuti il paziente a prendere le giuste decisioni. Inoltre il ruolo di questo specialista è fondamentale nella gestione dei complessi rapporti tra le varie figure che compongono la famiglia. Lei pensi alle ragazze prepubere dove la decisione deve essere presa dai genitori in merito alla conservazione dell’ovaio oppure lasciare questa chance alla bambina. Gestire poi, anche a livello informativo senza creare dei traumi alla sensibilità della giovane paziente, diventa quanto mai importante”.

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