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Uganda, nel Nord che cambia. Tra nozze d’amore e contraccezione

Intervista a Suor Hellen, che dirige il reparto di maternità al St. Kizito Hospital di Matany

Pubblicato:03-11-2017 06:10
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:51

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MATANY (Uganda) -“Prima i matrimoni erano combinati, ma da una ventina d’anni questa pratica culturale si è persa e le ragazze sposano chi amano. A volte restano incinte anche prima del matrimonio”. Sorride Suor Hellen, con quell’espressione umile ma convinta, forte dei suoi 31 anni di esperienza come infermiera nell’ordine delle suore comboniane. Oggi dirige il reparto di maternità al St. Kizito Hospital di Matany, nella sua regione natale, la Karamoja, dove al momento “abbiamo circa 22 pazienti tra gestanti e puerpere”, dice.

Suor Hellen

Registrate casi di violenze o abusi? “No, non molti. Ma prima era diverso: se un uomo voleva una donna se la prendeva, spesso con il benestare dei genitori. Oggi c’è più libertà. Ma le violenze domestiche non mancano”.


ORA IL NEMICO E’ L’ALCOL

A rendere difficile la vita di queste persone è l’insicurezza alimentare: le forti siccità e una transizione forzata dalla pastorizia all’agricoltura sono causa di lunghe carestie. “Anche i casi di malnutrizione tra i bambini si sono ridotti”, assicura suor Hellen, perché ora il nemico è un altro: l’alcool. “La gente beve molto, convinta che sia un buon sostituto del cibo che manca”. Il bicchiere si riempie soprattutto di birra locale, quindi a buon mercato, oppure di whisky fatto in casa, il Waragi. Ce ne sono di mille qualità, tutti molto dannosi per la salute.

UBRIACHEZZA CAUSA VIOLENZE MA ANCHE SUICIDI, SOTTO I 30 ANNI

“Alcuni ne danno ai figli sin da quando sono piccoli. Ci sono quindi molti alcolisti, e questo genera violenze in casa, gravidanze indesiderate, tumori al fegato… e anche molti suicidi, per la maggior parte sotto i 30 anni. Di recente ne abbiamo contati fino a quattro in un mese. In momenti di difficoltà anche banali, come un litigio, capita che – ubriachi e confusi – ingoino grandi quantità di pillole oppure l’acido delle batterie. Se sopravvivono, avvisiamo subito gli psicologi e iniziano un percorso di sostegno. Mandiamo anche persone a parlare nelle comunità o nelle scuole, per creare consapevolezza”.

LE MEDICINE? DIFFICILE SPIEGARE COME USARLE

Suor Rosaria ha lavorato anche a Mapudit nel 2003, nell’attuale Sud Sudan, in piena guerra civile. “Cercavano un’infermiera per quattro mesi, sempre in un’ospedale comboniano. Sono rimasta sei anni. E’ stata una sfida enorme: le persone non erano assolutamente educate sui temi della sanità. Ad esempio era molto complicato fargli capire come e quando prendere le medicine. A volte, sulle ricette, dovevo disegnare tante caselle quante erano le somministrazioni, così riuscivano a regolarsi. Quando bombardavano- prosegue la missionaria- la gente si rifugiava in trincee scavate nel terreno. Ma erano piene di serpenti quindi dovevi scegliere: o morire per le bombe o per i morsi dei serpenti!”. Una lunga risata, fragorosa come se ne sentono spesso da queste parti. A lei non capitò mai, ma “con i miei occhi ho visto di peggio”.

INFIBULAZIONE STA DIMINUENDO

Torna seria, sta ricordando le giovani che ha visitato al St. Kizito, vittime dell’infibulazione ai genitali. “In Uganda non è una pratica diffusa. So solo di un villaggio qui vicino, Tepes. Le ragazze fino a qualche anno fa arrivavano da lì per partorire. A volte morivano. Una volta ricordo di una giovane che venne da noi perché non riusciva a restare incinta. La penetrazione nelle sue condizioni era impossibile. Aveva paura, il marito era sul punto di ripudiarla. Non so che fine abbia fatto. Ad altre spesso ho chiesto: quando vi tagliano, c’è un medico che vi assiste? Vi danno antidolorifici? Rispondevano di no. Al dolore si resiste. Per cicatrizzare il taglio (che prevede l’asportazione del clitoride e delle grandi e delle piccole labbra), le giovani mi hanno spiegato che stanno sdraiate per giorni con le gambe chiuse e fasciate strette. Poi lasciano che l’urina coli lentamente: lo considerano un disinfettante e un cicatrizzante. E’ terribile”. Ma forse anche a Tepes le cose stanno cambiando. Certo lo sono nel resto della Karamoja, anche dal punto di vista della pianificazione familiare, un argomento prima tabù: “Qui, essendo cattolici, insegniamo la contraccezione naturale. Ma molte ragazze vanno a Moroto – la città più vicina, ndr – per prendere la pillola o farsi fare iniezioni che bloccano l’ovulazione per qualche mese”.

dalla nostra inviata in Uganda, Alessandra Fabbretti

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