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Da Assisi a L’Aquila, ecco il lavoro dell’Istituto per la Conservazione e il Restauro dopo i terremoti

ROMA - Dal sisma che ha colpito Tuscania nel 1971 al disastro del Friuli nel 1976, dai terremoti

Pubblicato:03-11-2015 18:04
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:32

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ROMA – Dal sisma che ha colpito Tuscania nel 1971 al disastro del Friuli nel 1976, dai terremoti avvenuti ad Assisi nel 1997 e in Abruzzo nel 2009, fino al sisma in Emilia del 2012, in seguito al quale è nato il centro restauro di Sassuolo, dedicato al recupero del patrimonio colpito. L’Istituto per la Conservazione e il Restauro (Iscr), “nei suoi oltre 70 anni di vita, conta numerose esperienze vissute nel fronteggiare problemi molto complessi, connessi anche alla storia dei terremoti che hanno colpito il patrimonio culturale italiano”. Un’esperienza che oggi la struttura di via di San Michele ha portato all’Accademia dei Lincei, a Roma, dove è in corso il convegno ‘Resilienza delle città d’arte ai terremoti’. Tra gli esperti chiamati a intervenire sul tema, anche Gisella Capponi, direttore dell’Istituto superiore per la Conservazione e il Restauro, che ha raccontato gli interventi messi in campo dopo un terremoto, ma anche gli strumenti adottati negli anni per prevenire i danni al patrimonio. Tra questi, la Carta del Rischio, grazie a cui è stata creata una “imponente banca dati” nazionale che oggi conta oltre 100mila monumenti e un milione di opere schedate che restituiscono una “conoscenza approfondita di quali e quanti monumenti sono esposti a rischio”.

restauro

Nel corso degli anni, ha spiegato Capponi, gli interventi dell’Istituto nelle aree colpite da eventi sismici “hanno permesso di mettere a punto metodologie innovative” per la cura e il restauro del patrimonio colpito. “Il ministero dei Beni culturali- ha aggiunto- dal 2013 si è dotato di procedure per la gestione delle attività di messa in sicurezza e salvaguardia del patrimonio colpito da calamità”, mentre proprio la “particolarità dell’Iscr, che è un luogo in cui abitualmente si lavora con tante professionalità diverse- ha detto- ha fatto sì che l’Istituto fosse particolarmente utile in situazioni di emergenza, quando è necessario lavorare con diverse figure”. Capponi ha ricordato l’apporto degli allievi della Scuola, con “intere classi che si sono avvicendate nel recupero del patrimonio dopo diversi eventi sismici”.


DA TUSCANIA AD ASSISI – Tra le prime esperienze post terremoto, quella di Tuscania, nel 1971, “la prima in cui l’istituto si trova a operare non solo sulle opere colpite, ma direttamente sui luoghi del sisma”. Poi, nel 1976, sono seguiti i “numerosissimi interventi dopo il disastro del Friuli”. Capponi ha ricordato gli “oltre 100mila frammenti” provenienti dalla Basilica di San Francesco, ad Assisi, crollata dopo il terremoto del 1997. Ma da “questi eventi tragici, sono scaturiti anche metodi nuovi di intervento”. Proprio come accade con “la ormai celebre ricomposizione dei frammenti degli affreschi ridotti in frantumi dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, quando Cesare Brandi escogitò un sistema di completamento che diventerà la tecnica basilare per il riempimento delle lacune”. Cinquant’anni più tardi, ha ricordato Capponi, “la stessa tecnica, unita a metodologie informatiche e sistemi di catalogazione più avanzati, è stata utilizzata per il recupero dei frammenti della Volta di Assisi, in quello che è stato chiamato il ‘cantiere utopia’”. Nel luglio 1998, ha detto il direttore, “erano giorni febbrili in cui si doveva decidere che cosa fare dei frammenti e se rimontare o meno gli archi di mattoni che costituivano i costoloni. L’allora direttore dell’Istituto, Michele Cordato, scrisse che era una occasione straordinaria per dimostrare l’impegno per la ricostruzione delle parti crollate, a vantaggio di un esito rigoroso e qualificato. La sua nota pose fine ad altri progetti che volevano realizzare un museo del crollo di Assisi”. Così, il ‘cantiere utopia’ ha restituito i tratti di Giotto che il terremoto sembrava aver demolito definitivamente.

LA CARTA DEL RISCHIO – Sviluppando idee già espresse da Giovanni Urbani negli anni Ottanta, la Carta del Rischio nasce proprio per “arrivare a definire un piano di prevenzione sismica sui monumenti”. L’intuizione di creare una banca dati nasce dalla necessità di mappare il territorio e rispondere ad alcune domande: “Quanti sono i monumenti da tutelare? Dove sono e quali sono le loro condizioni? L’Iscr- ha detto Capponi- ha tentato di dare una risposta, che tra l’altro nell’ultimo periodo ha avuto ottimi risultati, con il progetto della Carta del Rischio del patrimonio culturale che ha visto la creazione di una imponente banca dati realizzata sia con i dati cartografici che alfanumerici per la definizione del problema in termini generali problema: sapere quanti sono i monumenti esposti, dove sono e quali sono le problematiche che generano il rischio. In questi ultimi anni è stata stabilita una stretta collaborazione anche con altri istituti del ministero, come l’Istituto centrale per il Catalogo e le direzioni generali, ma anche con il ministero dell’Ambiente”. Oggi, ha ricordato il direttore, la Carta del Rischio conta la catalogazione di oltre 100mila monumenti e più di un milione di opere schedate”.

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