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Sanità, Omceo Roma: “L’85% dei medici vuole formazione contro la violenza di genere”

ROMA - L'85% dei medici vuole essere formato per

Pubblicato:02-12-2016 16:56
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:22

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omceo2ROMA – L’85% dei medici vuole essere formato per affrontare in modo adeguato il fenomeno della violenza di genere. E’ quanto emerge da un questionario redatto dalla Commissione Albo Odontoiatri di Roma insieme alla Commissione ‘Violenza di genere e formazione degli operatori sanitari’, per ottenere informazioni utili sulla formazione dei medici e degli odontoiatri e i dati dell’incidenza sul territorio.

Il questionario, i cui dati sono stati presentati oggi all’interno di un corso di aggiornamento organizzato dall’Omceo di Roma, ha ‘ascoltato’ una quota di professionisti composta dall’83,5% di medici e dal 10,11% di odontoiatri (nel 6,3% dei casi si tratta di doppi iscritti). Il campione risulta costituito dal 51% di donne e in una fascia d’età compresa dai 51 ai 65 anni. Nello specifico, il 17% dei professionisti ha dichiarato di aver rilevato e segnalato casi di violenza in particolare su soggetti oltre i 45 anni (nel 40% dei casi) e sotto i 20 anni (28%). Tra questi, emerge che il soggetto ha riferito spontaneamente l’episodio di violenza nel 71% degli episodi, mentre sono state necessarie domande e approfondimenti nel 29% delle segnalazioni. Infine, dai racconti emerge che la violenza è stata esercitata dal partner nel 34% dei casi, nel 36% da un familiare e nel 30% da uno sconosciuto.

Gli operatori sanitari hanno voglia di fare formazione e saperne di più su questo fenomeno. Proprio per questo volevamo capire se i nostri iscritti attualmente sono formati per poter riconoscere i segnali di una violenza- spiega Sabrina Santaniello, componente della Cao di Roma e consigliere dell’Omceo di Roma- Ma anche se sanno come comportarsi e come eventualmente prevenire gli esiti più importanti di un abuso. Questo perché siamo convinti che l’unione tra la parte medica e la parte odontoiatrica possa generare dei risultati nell’individuazione di traumi facciali come segnale di violenza“.


Nel dettaglio, “abbiamo chiesto ai professionisti se fossero a conoscenza del fenomeno, la loro età per capire quale fosse la fascia che ha attribuito più attenzione al problema e se l’episodio fosse stato esposto loro in maniera spontanea o dietro formulazione di domande specifiche”. L’obiettivo era “capire se oltre alle strutture pubbliche c’è preparazione anche da parte di privati e liberi professionisti”.

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