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Pd, Enrico Rossi: “Dopo Roma il partito è da ricostruire”. Intervista ESCLUSIVA al presidente della Toscana

Al centro dell’analisi sulle vicende romane che il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, affronta in un’intervista alla ‘Dire’, c’è il Partito democratico

Pubblicato:02-11-2015 12:29
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 21:32

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enrico rossi2BORGOTARO (PR) – “Il vero tema è senz’altro quello del partito. Su questo chiedo a Renzi di aprire una discussione. Serve struttura, mi pare che la vicenda di Roma sia lì a dirci anche questo”. Al centro dell’analisi sulle vicende romane che il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, affronta in un’intervista alla ‘Dire’, c’è il Partito democratico. Il governatore toscano risponde alle nostre domande disegnando una struttura diversa dal ‘partito liquido’- come piace al premier-, in grado però di mettere in circolo gli anticorpi contro ‘l’evaporazione’ del Pd, ‘unico argine capace di contrastare i populismi di tutti i colori, da Salvini a Grillo, che si stanno organizzando nei territori’. Per questo il presidente, che con largo anticipo ha lanciato la sfida alla segreteria nazionale del Pd per il congresso 2017, non si sottrae dall’usare parole come ‘ricostruzione’. Uno slancio deciso su cui è pronto ‘a dar battaglia’ se non sarà concesso un momento di riflessione nel mondo ‘dem’.

Nel Pd, argomenta Rossi, come si dice in Toscana è necessario “metterci testa”, lavorare se serve “fino alle 9 di sera del sabato, altrimenti rischiamo non poco”. Il piano? Riallacciare e sincronizzare i territori al vertice del partito. Le parole d’ordine? Partecipazione, rielaborazione, coinvolgimento, “con un po’ più di diritto, se sono iscritto, a dire la mia”.

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E’ un Enrico Rossi di lotta e di governo- perché “la riuscita di questo governo è anche la riuscita del Paese dove soffia qualche vento flebile di ripresa”-, quello che è andato a confrontarsi con il Pd della vicina Emilia Romagna su un invito dei dem di Parma che lo ha visto salire a Borgo val di Taro, sull’appennino. Alla platea Rossi parla di disciplina, di “come si sta dentro un partito” e di “scuola politica”. Oramai lontanissimo da Pierluigi Bersani, Rossi dice, alzando la voce, “che in un partito non si asfalta nessuno, ma si discute e ci si rispetta, con la minoranza che riconosce la legittimità del segretario, e con il segretario e legittimo premier che deve farsi carico dei problemi sollevati dalla minoranza’. Così per le scelte: c’è una maggioranza, una minoranza, la dialettica anche aspra, ma poi la sintesi deve compattare e non slegare. Tutto in una formula: “Cari compagni, voto con voi ma non mi avete convinto”.

Presidente, dopo aver visto defenestrare l’ex sindaco Marino dal notaio, con le firme dei consiglieri del Pd unite a quelle del centrodestra, crede che Renzi abbia sbagliato qualcosa?
‘Ma non è che tutto può far riferimento a Renzi, cadergli sulle spalle’, risponde Rossi sbuffando un po’. ‘Non può essere chiamato sempre in causa… Renzi fa il presidente del Consiglio, il segretario del partito, ha impresso sicuramente una svolta a tante situazioni del Paese. La finanziaria, per esempio, su alcuni punti è carente e va modificata, però ha senz’altro dei caratteri positivi. Il vero tema è quello del partito e su questo chiedo a Renzi di aprire una discussione. Si parli e si entri nella questione, come cioè organizzare una dimensione collettiva, con i suoi militanti e suoi luoghi. Abbiamo bisogno di un partito che ridia la parola e il potere agli iscritti, a chi ancora ha passione politica’.

Crede sia arrivato il momento di mettere mano, ripensare al Pd ‘liquido’, non solo nella Capitale?
‘Bisogna stare attenti che non evapori, perché il Pd ha ancora tante potenzialità. Certo se ci si ferma alle grandi kermesse dove conta l’elemento personale, il leader, il partito poi si aggrega e si scioglie in questi momenti: tra primarie e kermesse. Io penso invece ad un partito strutturato sui territori’.

Senza uomo solo al comando?
‘Intendiamoci, nella politica attuale un leader è necessario. Però occorrono tante presenze forti e significative sui territori, senza vivere la dimensione della politica in solitudine, ma all’interno di un collettivo, dentro cui ognuno esercita la sua funzione, il suo ruolo, propone le proprie idee, discute ed infine si prova a far sintesi. Ovvero ci si presenta uniti, si vota allo stesso modo, senza dividerci e dare una brutta immagine di noi stessi, come se fossimo interessati a privilegi o a mantenere la posizione di potere’.

A Roma come si riparte, considerando che non si tratta di Sesto Fiorentino e il Pd è sotto schiaffo, visto che le dimissioni sono arrivate anche chiedendo aiuto al centro-destra?
‘Sarebbe utile rileggere lo studio di Fabrizio Barca: ripartiamo dalle sezioni migliori, riapriamo una discussione all’interno del partito, costruiamo un programma per la città insieme ai militanti, agli iscritti, alle forze sociali e poi cerchiamo, tra le persone più adeguate, chi candidare e sottoporre al giudizio dei cittadini attraverso le primarie. Su Roma, tuttavia, bisogna stare attenti a dare giudizi affrettati: nessuno deve dimenticare che è la Capitale e per le sue presenze industriali, la capacità di attrarre ricerca e investimenti, la storia, la bellezza, il settore della moda, Roma è veramente il Paese, rappresenta nel bene e nel male i suoi tanti aspetti. Inoltre bisogna anche aggiungere che un’accelerazione dei fenomeni corruttivi, così come di opacità e malcostume, c’è stata proprio negli anni del governo del centrodestra, che è all’origine delle inchieste e di un cedimento anche di pezzi del partito che hanno mercanteggiato con la destra prebende e settori’.

Come giudica la scelta ricaduta sul prefetto Tronca, applicare cioè il modello Expo di Milano su Roma in vista del Giubileo?
‘Il prefetto di Milano può servire a far fronte alle esigenze, alle necessità e a risolvere alcuni problemi contingenti come il Giubileo e, mi auguro, i servizi in città. Questo Paese, però, non può andare avanti a commissariamenti: ha bisogno di ritrovare sia stabilità che politica, perché l’antipolitica si genera su se stessa e questo lo trovo pericoloso’.

Una fetta del Pd romano vorrebbe le dimissioni di Orfini: Renzi invece continua a credere nel suo lavoro e gli ha affidato la delicata partita in previsione delle urne. Che ne pensa?
‘Orfini ha tutte le caratteristiche per affrontare il nodo e provare a risolverlo positivamente se, come mi sembra voglia fare, parte dalla valorizzazione del Pd e di quel centrosinistra sano che a Roma ancora esiste’.

La minoranza chiede un congresso anticipato perché teme che nel frattempo, sulla scia anche dei fatti di Roma, il Pd cambi fisionomia e vocazione. Ma in un partito della Nazione si candiderebbe ugualmente?
‘Il partito della Nazione non mi convince, favorisce e incrementa una certa emorragia che abbiamo a sinistra. Io, come ho detto, sono fortemente intenzionato a candidarmi al congresso del Pd. Sono partito in tempo perché penso sia una bene discutere per arrivare preparati a quella scadenza. I processi di cambiamento non si fanno dall’oggi al domani’.

E sulla coalizione della Nazione, che ne dice della coppia Alfano-Verdini?
‘Con Alfano è un conto, ci sono già state delle alleanze anche durante la partita delle regionali. Non sono d’accordo su Verdini, significherebbe un salto di qualità, avallare il trasformismo e andare verso quel partito della Nazione che non condivido. Mi pare però che sul partito della Nazione vi siano stati dei dinieghi importanti anche da parte del gruppo renziano’.

Tra maggio e giugno si vota a Roma, ma anche a Milano e Bologna. In Italia sono sempre elezioni ‘politiche’. Se Renzi perde serve un congresso?
‘Bisogna stare molto attenti a mettere il carro davanti ai buoi. Abbiamo delle scadenze, vanno affrontate nel migliore dei modi. Dobbiamo arrivare a governare i processi per la formazione delle liste dei candidati nelle diverse città non facendoli calare dall’alto ma coinvolgendo prima di tutto gli iscritti. Quindi formulare programmi e individuare persone adeguate da sottoporre preventivamente al giudizio degli elettori delle primarie. Magari confrontandosi anche con altre forze di sinistra: c’è stata un’apertura da parte di Vendola che credo andrebbe colta seriamente. Questo è il metodo: credo che la sinistra interna al Pd dovrebbe rivendicare questo metodo e non parlare di congresso anticipato. Per il congresso c’è una data fissata, fino ad allora abbiamo di che lavorare’.

di Diego Giorgi – giornalista

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