ROMA – Un caso di malasanità. Si sono chiuse così le indagini, a fine marzo, sulla morte di Valentina Milluzzo, la giovane donna morta al Cannizzaro di Catania dopo aver abortito due gemelli alla 19esima settimana di gravidanza. Ora 7 dei 12 medici indagati dovranno comparire davanti al giudice delle indagini preliminari con l’accusa di concorso in omicidio colposo.
Una storia che finì sulle cronache nazionali perché secondo la famiglia la causa della morte della giovane era da ricercare nella non volontà di intervento dei medici fino alla presenza del battito dei feti. Quindi, sostanzialmente, a causa dell’obiezione di coscienza del medico di turno. “Ma questo non può essere detto – dice Elisabetta Canitano presidente dell’associazione Vita di donna – la veritá é che abbiamo perso lo stato laico, è più facile dire che la morte di Valentina sia stata causata da errori, da malasanità”. Una verità scomoda, secondo la famiglia, che deve essere taciuta e nascosta, che sta dietro il comportamento errato dei dottori nel valutare lo stato di rischio in cui la ragazza si trovava. Ed è da questa tragedia, dal racconto dei 15 giorni di agonia, che nasce lo spettacolo teatrale “Io Obietto” di cui Elisabetta Canitano è l’autrice. Una piece che ha l’intento di non far calare i riflettori per ricordare che “l’obiezione di coscienza c’entra eccome”.
Duro come le ultime giornate di Valentina. Secondo la ricostruzione che è stata fatta all’epoca dal papà della ragazza, Salvatore Milluzzo, la 32enne entró in ospedale il 29 settembre per dilatazione dell’utero anticipata. La situazione però precipita il 15 ottobre. Valentina ha la febbre alta e forti dolori lancinanti, ha una sepsi in atto si scoprirá piú avanti, ma i medici parlano di influenza prima, di colica renale poi. Valentina peggiora progressivamente ma, raccontano i familiari, il medico di turno si sarebbe rifiutato di intervenire procurando l’aborto a causa della setticemia perché obiettore: “Finché si percepisce il battito, io non intervengo”, avrebbe detto.
La sepsi è estesa, viene portata in rianimazione ma non c’è più nulla da fare. Muore il 16 ottobre e la famiglia da quel momento non si da pace. Lo spettacolo racconta proprio quei giorni e si snoda su tre livelli: quello della ragazza, della famiglia e dei medici. E l’obiettivo appunto è “non far calare l’attenzione – sottolinea l’autrice – per non perdere di vista il vero motivo che ha portato i medici a non intervenire”. “Anteporre non la vita di un bambino ma il battito cardiaco di un feto destinato a morire alla vita di una donna noi lo consideriamo una violenza -conclude Canitano e non considerare l’obiezione di coscienza nella storia di Valentina non è un dettaglio ma il vero nocciolo della questione”.
Lo spettacolo andrà in scena il 19 maggio a Brescia, il 20 maggio alla Casa internazionale delle donne a Roma, il 25 maggio alla Casa dell’Aviatore, nell’ambito del congresso di LAIGA, l’associazione dei ginecologi che applicano la legge 194, il 26 maggio al Teatro del Lido di Ostia.
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