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I prof e l’internazionalizzazione: la scuola? Insufficiente

Presentata al Miur ricerca 2015 dell'Osservatorio nazionale sull'internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca promosso da Intercultura

Pubblicato:01-10-2015 12:13
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:35

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ROMA – Scuola bocciata in internazionalizzazione. Il voto dei docenti italiani in merito non va oltre il 5,1 e non raggiunge quindi la sufficienza. Una scuola – e un corpo docenti – quindi ancora restia al cambiamento, nonostante sia riconosciuta l’importanza dell’apertura oltralpe. È questo quanto emerge dalla ricerca 2015 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca promosso dalla fondazione Intercultura e presentata oggi al ministero dell’Istruzione.

Intercultura_Miur

Dalla ricerca si riscontra quindi – grazie ai dati elaborati da Ipsos – la maggiore fiducia sul tema dei presidi rispetto agli insegnanti: il 65% di loro dà infatti un voto dal 7 al 10. Una discrepanza di giudizio tra le due categorie in cui un peso rilevante ce l’ha la riforma ‘La buona scuola’ più avversata dai docenti rispetto ai presidi. L’unico voto positivo attribuito dagli insegnanti alla scuola secondaria in Italia è quello relativo alla qualità dell’insegnamento (6,2). Bocciate invece la capacità di accoglienza e valorizzazione degli studenti stranieri (5,8), il grado di insegnamento delle lingue straniere (5,4), la capacità di formare cittadini europei (5,3), l’apertura a collaborazioni con scuole straniere (5,1), la predisposizione al cambiamento (5), il sostegno ai programmi di mobilità individuale degli studenti (5), il grado di partecipazione ai programmi internazionali (4,9). Il voto più basso invece è per la conoscenza delle lingue straniere da prte dei professori non di lingua: per loro un sonoro 4,2. Quali quindi le soluzioni per uscire da questo stallo? Sempre secondo i docenti la scuola ideale dovrebbe offrire loro le condizioni e le risorse per lavorare al meglio: 2 su 3 chiedono autonomia e flessibilità mentre uno su quattro (24%) chiedono che la scuola sia al passo con la società. Un altro 10% preferirebbe avere maggiori riconoscimenti dal proprio ruolo economico. I presidi dal canto loro, grazie all’autonomia prevista dalla riforma, ritengono che quest’ultima migliorerà il processo di internazionalizzazione (lo afferma il 73% di loro). Sempre sulla riforma sono invece più scettici gli insegnanti, solo il 40% ritiene che aiuterà le scuole ad ottenere un profilo più internazionale, parere opposto invece per il 27%. “La sfida che dobbiamo sostenere- ha spiegato il segretario generale della fondazione Intercultura, Roberto Ruffino presente al convegno al Miur questa mattina- è quella di innescare un processo virtuoso per sostenere i docenti nella loro formazione internazionale. Alcuni docenti andrano valorizzati nel loro già essere internazionali, altri dovranno essere formati ‘meglio’, altri ancora – la fetta più grande – dovranno essere sostenuti con tempi lenti e più lunghi. Quello di cui c’è bisogno è un cambio culturale, che nel nostro Paese deve avvenire in molti settori, e come ogni cambiamento di questo tipo i tempi non possono che essere lunghi”. “La strada avviato da questo Governo- ha detto ancora Ruffino a Diregiovani- sembra essere quella giusta e i presidi, anche grazie alla loro maggiore autonomia rispetto al passato, avranno un ruolo fondamentale in questa evoluzione”.


Può la scuola essere internazionale senza il sostegno dei docenti? E soprattutto senza un copro docenti che a sua volta non ha vissuto esperienze all’estero? Secondo la ricerca la percentuale di docenti che hanno investito in esperienze fuori dal confine si ferma al 18%. A far da contraltare, sempre secondo i dati Ipsos, un significativo 60% di professori intervistati, non ha nel suo curriculum alcuna formazione o esperienza internazionale, ma è ancora ancorato al modo classico di concepire la scuola, basata più sullo studio della materie che non sull’esperienza sul campo. Dall’altra parte della barricata, gli studenti, sempre più propensi a vivere esperienze all’estero. Così come dimostra la crescita di chi ha aderito a programmi sul tema: +109% tra il 2009 e il 2014. Dati eloquenti anche dal punto di vista anagrafico: l’età media dei docenti considerati ‘internazionali’ è 47 anni (non necessariamente più giovani), poco più ‘grandi’ coloro che appartengono alla seconda categoria, quelli più ‘local’: che hanno una media di 50 anni di età. Molti degli ‘internazionali’ sono docenti di lingue, ma sorprende che più della metà di questi non ha vissuto alcuna esperienza all’estero. I proff ‘internazionali’ hanno iniziato fin da giovani a lavorare alla loro formazione: il 49%, secondo la ricerca, ha frequentato brevi corsi all’estero, il 36% ha ha partecipato a erasmus o l’anno all’estero durante le superiori, il 27% ha lavorato all’estero prima dell’insegnamento. Differenze sostanziali tra le due categorie (internazionali e local) anche a livello generale: i primi si percepiscono più aggiornati (36% contro 23%) e innovativi (26% vs 13%). I ‘local’, che nella vita extra scolastica si dichiarano persone aperte alle diversità, sono comunque più a loro agio nel contesto culturale di appartenenza. Aspetto quest’ultimo che si riflette anche a scuola: una figura stimolante (29%) ed esigente (31%) ma che fa fatica ad avere uno sguardo ‘globale’ e a riconoscere l’importanza di una formazione internazionale.

di Ugo Cataluddi

Giornalista

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